Spiritualità sacerdotale: 1.rapporto con la Parola
LA SPIRITUALITÀ SACERDOTALE DI DON ANDREA
mons. Angelo De Donatis
vescovo ausiliare per il clero di Roma
2 febbraio 2016
Sono contento di potermi fermare qualche istante con voi per riflettere sulla figura di don Andrea all’interno dell’anno del Giubileo della Misericordia. Lo considero un dono, perché ripensare a lui come fratello, amico e sacerdote, non solo lo fa sentire ancora vivo e vicino, ma sono certo che ci aiuterà a scorgere alcuni riflessi della Misericordia del Padre che faranno bene anche a tutti noi.
Per segnare alcuni passi nella sua spiritualità sacerdotale vorrei seguire tre brevi itinerari, e per ognuno di questi provare a farci guidare da un “compagno di strada” che ci aiuti a comprendere un po’ meglio chi fosse don Andrea e come il Signore ha potuto lavorare, con lui e attraverso di lui. Certamente il percorso non sarà esaustivo ma come poter racchiudere in poche battute la vita intera di un uomo? Percorreremo così il rapporto di don Andrea con la Parola, con l’Eucaristia e con la Chiesa.
1. Il rapporto di don Andrea con la Parola.
“Io sono voce di uno che grida nel deserto” (Gv1, 23) è quanto dice di sé Giovanni il Battista quando gli chiedono di rivelare la sua identità. Dai racconti evangelici sappiamo che la gente accorreva in massa da lui per farsi battezzare, perché vi trovava un’autenticità onesta. Il deserto in cui vive Giovanni evoca essenzialità: non ci sono cose inutili, accessori o ornamenti di alcun tipo. Il deserto, che per noi oggi è per lo più esistenziale, spoglia della superficialità e costringe ad accontentarsi dell’essenziale. In questo spazio è necessario mettersi di fronte alla propria coscienza! La forza di Giovanni quindi era la sua “voce”, il suo essere sobrio testimone della Parola di Dio. Una Parola che scava fino in fondo, fino alle radici, per toccare la vita dell’uomo. Giovanni stesso si lascia scavare da Dio, si mette in gioco in prima persona, si interroga, prepara, spiana dentro di sé affinché la Parola possa prendere forma in lui. Papa Francesco durante un’omelia mattutina ha tracciato l’esperienza del Battista indicandone alcuni verbi: preparare, discernere, diminuire (24 giugno 2014, solennità della Nascita di Giovanni il Battista). Sono verbi che preparano ad un incontro, aprono possibilità, occasioni. Verbi che sono appartenuti anche a don Andrea.
Come il Battista, anche don Andrea ha preparato il cuore di tante persone all’incontro con il Signore, le ha aiutate a discernerne la Sua presenza amorevole, ed infine si è abbassato fino a scomparire per non prendere, in alcun modo, il posto di Dio. Anche lui arrivava al cuore della gente consapevole di prestare solo la sua voce a quella Parola che avrebbe cambiato la vita di tanti. E questo perché lui conosceva bene l’efficacia della Parola di Dio.
È facile, per chi l’ha conosciuto, tornare con la memoria a quella che è stata la sua esperienza di vero deserto. Mi riferisco ai tempi sabatici trascorsi in Terra Santa tra il 1980 ed il 1981 e poi, in seguito, tra il 1993 e1994. Esperienze che hanno preceduto il suo servizio di parroco in due comunità romane. Soprattutto il periodo tra il 1980 e 1981 è stato stati da lui varie volte definito “cruciale” nel suo cammino di fede. È stato un tempo di raccoglimento forte, in cui don Andrea si è fatto vangare, dissodare, spianare dalla Parola di Dio, che ha segnato profondamente il suo percorso umano e sacerdotale. Era difficile ascoltare i racconti di quell’esperienza senza veder trasalire sul suo viso un’emozione forte anche a distanza di molti anni. Ma del resto è così: quando il Signore ci tocca nelle pieghe più profonde del cuore è difficile raccontarlo con leggerezza, anche a distanza di tempo!
Nel suo diario di quegli anni leggiamo: “Signore oggi 27 settembre in questa cappella delle suore della Nigrizia rimetto nelle tue mani tutti questi 35 anni: a 14 sono entrato in seminario e lì la mia storia è stata intensa fino a 25. Prete e celibe da 10 anni. Queste le promesse del “figlio” che ho generato, la terra alla quale sono giunto. Prete di parrocchia per 10 anni, cioè dall’inizio. Questo il mio passato.
Signore, nulla mi appartiene, ma tutto è tuo. Accetto di cambiare tutto, di pensare che non era la mia strada, che non era il “figlio” che tu volevi darmi. Accetto di sentirmi per ciò stesso come di nuovo a zero senza radici, senza passato – perché nulla è più mio – e senza futuro – perché non ho altro in mano. Accetto l’eventuale povertà radicale, disagio, paura, sofferenza, accetto di dover ricominciare, di dover partire, di dover in qualche cosa, in poco, in tanto, in tutto, mutare. Accetto quello che tu vuoi. Scelgo te al di sopra di tutto e la tua Parola, il tuo invito, i tuoi cenni, le tue indicazioni, la tua volontà. Mi rimetto a te, mi abbandono a te. Accetto di dover lottare con te corpo a corpo, senza difesa, senza nulla da vantare, senza diritti o attese da accampare. Accetto di poter dire: mi sono sbagliato. Mi sono illuso. Non avevo capito.
Questo mi dà tanta pace, un sollievo che non immaginavo, una sicurezza inafferrabile e nascosta. Sono leggero, libero, pronto. Attendo solo che tu parli, che tu mi chieda, che tu mi indichi. Sono disposto a tutto. E ora, o Signore, ora che ho rimesso tutto nelle tue mani, ora che ho fatto gettito di tutto, ora che ho accettato di non aver più nulla, di non essere più nulla, ora o Signore dovrai darmi un segno, dovrai offrirmi, una indicazione, pronunciare una sillaba. Quando e come vuoi tu: ma non ne dubito Signore. Io attendo con fiducia e in pace. La mossa tocca a te e io ne sono certo. Ora non mi preoccuperò di programmare ma solo di pregarti, di vivere questa solitudine alla tua presenza, di accoglierti e ascoltarti quanto più possibile, di nascondermi agli occhi miei e agli occhi degli altri e di stare davanti agli occhi tuoi, di incontrarti, di lasciarmi incontrare. Ora, o Signore mi pongo davanti a te come un foglio bianco, disposto a tutto cancellare e tutto riscrivere, daccapo lentamente con fatica. Mi pongo come creta nelle mani del vasaio: fa’ di me il vaso che tu vuoi, modellami. Se vuoi rimpasta quel vaso che finora sono stato. Dammi altra forma, altro contenuto.
Mi pongo come un bambino davanti a te che sei mio Padre, come un povero che attende di essere ricoperto, sfamato, dissetato, come un cieco che attende di essere guidato e guarito.
E’ difficile tutto questo per me o Signore: mi parlo da solo, mi do da solo sicurezze cui mi appoggio per paura, per vanità, per orgoglio, per abitudine, per scansare fatiche, per pigrizia, per non voler essere solo”. (dal diario di Terra Santa, pag 82-83)
Questa preghiera dice molto del cuore innamorato di don Andrea, disposto a lasciare a Dio il primato fino a farsi stravolgere i piani per ritrovare la gioia profonda che viene dall’abbandono sincero in Lui. La capacità di consegnarsi gli ha fatto sperimentare l’abbraccio del Padre. Lo stesso abbraccio dentro il quale ha cercato di far sentire tutte le pecorelle che gli sono state affidate, nel tempo! In diverse occasioni ha raccontato di come usasse attingere alla memoria di quel periodo nei momenti di buio e sconforto, facendo risuonare nel cuore la promessa di Dio. Perché chiaramente non sono mancati i momenti di scoraggiamento e, non solo a causa di umane dinamiche parrocchiali (che tutti noi conosciamo!), ma anche nel suo rapporto più intimo e personale con il Signore.
Don Andrea ha, negli anni, attinto sempre molta forza dall’incontro con la Parola, tanto che la Lectio divina rappresentava un punto fermo della sua giornata. Cercava sempre di ritagliarsi un momento congruo da dedicare all’incontro con la Parola. Non un esercizio di retorica biblica, sia chiaro, ma un tempo in cui permettere al suo cuore di essere interrogato da Dio. Mai un puro piacere per l’intelletto semmai un nutrimento necessario per l’anima e la vita. A testimonianza di questo particolare rapporto con la Scrittura ricordo la “sua” Bibbia. Dice tanto della storia di amore tra Dio e don Andrea. È piena di sottolineature, rimandi, appunti, in alcuni casi vi fissava solo delle date, come a ricordo di un appuntamento importante che racchiude un’intensità unica, indimenticabile. Del resto anche l’evangelista Giovanni scriverà “Erano circa le quattro di pomeriggio” descrivendo l’incontro di Andrea con il Messia…
Don Andrea aveva persino adattato il calendario dell’Ufficio delle Letture sul modello di quello monastico, in modo da poter legger integralmente tutti i libri della Bibbia in due anni consecutivi. Abitudine che non ha mai interrotto nel tempo, ovunque si fosse trovato. Gli piaceva trasmettere questo amore per la Scrittura e laddove è stato possibile anche condividerlo. Alcune persone mi hanno raccontato che negli anni in Turchia la sua omelia quotidiana era sostituita da una condivisione della Parola letta e meditata, uno spezzare la Parola in comune, un arricchimento reciproco tra concelebranti (il più delle volte laici e donne!!!). Se volete un modo semplice ma efficace di farsi da parte, come il Battista, affinché la sposa incontrasse personalmente lo Sposo. Giovanni, lo sappiamo, è l’amico dello Sposo. Lui non è né lo Sposo né la sposa. È stato mandato per consegnare la sposa allo Sposo. Quando la sposa è pronta l’amico dello Sposo sa che deve farsi da parte. E così ha cercato di fare anche don Andrea!
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