Riflessioni estive 2024/2
Proponiamo una serie di riflessioni per l’estate tratte dalle Lettere dalla Turchia di Don Andrea:
[15.] Urfa-Harran, 30 maggio 2002
Carissimi,
abbiamo ancora gli occhi e il cuore pieni di quanto abbiamo visto in un giro da tempo programmato nell’est della Turchia (il profondo sud di una volta in Italia). L’intento era di capire meglio la realtà particolare che viviamo ad Urfa e la storia recente d’inizio secolo che ha segnato questa vasta zona che va da Urfa fino ai confini con l’Iran, l’Iraq, la Siria e l’ex Unione Sovietica. Vi faremo una cronaca dettagliata e ragionata nel prossimo numero. Per ora mi limito ad alcune semplici osservazioni.
1) Anzitutto ci siamo convinti ancora di più della varietà di questa terra chiamata Turchia. Una diversità di natura, di arte, di culture, di popoli. Una diversità che fa la sua ricchezza e il suo interesse ma anche la sua complessità e in certi casi la sua problematicità.
2) Dal punto di vista naturalistico abbiamo visto delle bellezze che ci hanno incantato. Valli, gole, pianure, colline, montagne ancora innevate, laghi, praterie, fiumi, piante e fiori d’ogni tipo. Un vero regalo di Dio, un’impronta della sua creazione, una goccia della sua bellezza. Chi non ha visto questa parte della Turchia non può dire di aver visto la Turchia.
3) Dal punto di vista artistico abbiamo visto splendidi monasteri e chiese disseminate ovunque. Vi si legge la fede, l’amore e il genio spirituale delle numerosissime comunità cristiane che una volta le abitavano. Molte di queste chiese sono ridotte in rovina, altre difficilmente accessibili se non a prezzo di ricerche pazienti e di tragitti a piedi. La presenza e lo splendore di queste chiese contrasta con l’assenza e l’oblio dei cristiani che fino ai primi decenni di questo secolo vi abitavano numerosissimi. Nella popolazione attuale abbiamo trovato un ricordo pieno di simpatia, di stima e anche di nostalgia dei tempi della loro presenza: un segno di una convivenza riuscita e ancora possibile. Ci siamo convinti ancora di più che la diversità, se accettata e amata è ricchezza e stimolo reciproco, fonte di scambio e di collaborazione. La diversità se vissuta nel rispetto è vita, altrimenti genera estraneità, isolamento, insofferenza o odio.
4) Ci ha colpito l’intensa atmosfera spirituale, riflessa nella sua architettura e nella sua decorazione, di una moschea di Malatya. L’invito alla preghiera saliva al cuore appena entrati. Era come un piccolo cielo in terra.
5) Abbiamo attraversato città e villaggi abitati pressoché totalmente da curdi. Sempre abbiamo trovato affabilità e accoglienza. Abbiamo visto la loro laboriosità, il calore delle loro famiglie, la semplicità della loro fede, l’amore alla terra che abitano, l’anelito a condizioni di vita migliori per i loro figli, la loro cultura, la loro storia. Abbiamo letto negli occhi di molti la tristezza. Non si lascia volentieri, ci dicevano alcuni giovani, la propria terra amata, bella, potenzialmente ricca, culla dei propri padri, ma con la sofferenza nel cuore e spinti dalla necessità.
6) Pur senza vederlo con gli occhi abbiamo toccato quasi con mano e sentito nell’aria la tragedia che al finire dell’impero ottomano (inizio di questo secolo) ha toccato le popolazioni, quelle cristiane in particolare, di questa immensa zona. Tragedie dalla complicata matrice politica, militare, economica, culturale, religiosa che ha portato odio e morte e aperto ferite ancora oggi da rimarginare. A centinaia di migliaia sono state le vittime. Alcuni, veri e propri martiri della fede. Da una parte e dall’altra è scorso molto sangue. Migliaia e migliaia di famiglie sono emigrate. Ad una delle poche rimaste, nella zona di Tur Abdin, abbiamo chiesto: ma perché ve ne siete andati da questa terra così bella? «Bella?», ci hanno risposto, «Ma questo è un paradiso! Non l’avremmo mai lasciata se non spinti da necessità più grandi di noi». Nessuno è senza colpa. Ognuno porta con sé le sue responsabilità, le sue ragioni, i suoi torti, le sue innocenze. Dio, unico testimone imparziale di tutto, è proprio lui che invita i suoi “servitori” (come dicono i musulmani) e i suoi “figli” (come dicono i cristiani) a cercare l’uno il bene dell’altro, ad aprirsi l’uno ai diritti dell’altro, l’uno alla riconciliazione con l’altro. Come condividiamo in Dio l’unica fonte di grazia, di misericordia e di provvidenza così siamo chiamati nel suo nome a condividere gli spazi per la fede, la vita, e l’avvenire di ognuno.
Facile? Niente affatto. Ma possibile.
A partire da queste osservazioni vorrei trarre qualche conseguenza.
– C’è bisogno di riseminare la presenza cristiana in queste terre, una presenza che renda visibile il volto mite umile amoroso di Cristo. Una presenza affidata a minuscole comunità di persone singole e famiglie che parlino solo il linguaggio della preghiera, dell’amore di Dio, del lavoro quotidiano, dell’amore vissuto in fraternità, della bontà spicciola verso tutti, dell’amicizia semplice e generosa verso i vicini, dell’umile dialogo quotidiano, della testimonianza vera e trasparente di Colui che abita nei nostri cuori.
– C’è bisogno di chi creda profondamente nel dialogo, nell’unità e nella comunione e se ne assuma, corpo e anima, il peso e la fatica. C’è bisogno di cercare vie per parlarsi, conoscersi, capirsi. La tentazione di stancarsi, di isolarsi, di rinchiudersi nel proprio mondo è forte.
– C’è bisogno che in Europa gente come voi, sia disposta a capire questo mondo così diverso dal nostro, questi vasti e vari popoli che compongono il Medio Oriente, queste realtà musulmana ebrea e cristiana che qui vivono gomito a gomito ma che sempre più si ritrovano accanto anche nelle nostre nazioni europee. Bisogna essere disposti ad amare, a pregare, a entrare nel cuore sofferente di Dio che geme per i suoi figli divisi.
– Infine c’è bisogno, per noi cristiani, di guardare a Cristo e di seguire lui. Gesù ce l’aveva detto: “chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca”. Tutto passa: solo la santità attraversa i secoli e rischiara il mondo. Solo l’amore rimane. Si tratta in definitiva di cominciare a ridiventare semplicemente cristiani.
Che il Signore ci illumini tutti e crei in noi ciò che è conforme alla sua volontà. Vi chiedo di pregare sempre come noi facciamo per voi. Soprattutto vi chiedo la mezz’ora di adorazione il giovedì: una piccola finestra di preghiera perché Dio apra finestre tra i suoi figli. Vi rinnovo l’invito a venire e vedere. Con affetto vi saluto e vi auguro buon’estate.
Allah bereket etsin (che Dio vi dia con abbondanza i suoi doni e la sua grazia).
Don Andrea
[SANTORO Andrea, Lettere dalla Turchia, Città Nuova, Roma 2006, 85]