Riflessioni estive 2024/1

Proponiamo una serie di riflessioni per l’estate tratte dalle Lettere dalla Turchia di Don Andrea:

 

[8.] Roma, 1 luglio 2001

Carissimi,

questa lettera vi arriverà in piena estate. Buon riposo per chi ne avrà la possibilità, buona fatica per chi avrà un’estate faticosa. «Sia che viviamo sia che moriamo», diceva S. Paolo, «siamo del Signore». Siamo suoi sia che gioiamo sia che siamo nella prova. 

Io, dopo aver trascorso tre settimane a Roma, sono rientrato il 30 giugno a Istanbul per il quarto mese di lingua turca. Speriamo che il troppo parlare italiano non mi abbia danneggiato! Per fortuna i lavori per la nuova casa (fine maggio-inizio giugno) mi hanno dato motivo di esercitarmi dovendomela cavare con gli operai: tra idraulici, falegnami, elettricisti, fabbri, pittori etc. è stato un vero e proprio bagno “turco”. Anche perché non si trattava solo di sbrigarsela per le cose pratiche ma di esercitare l’accoglienza, fatta di scambi di notizie, reciproca conoscenza, dialoghi sui problemi della vita, della famiglia, del lavoro, della religione. Sono nati dei buoni rapporti, cordiali, sinceri, scherzosi, in qualche caso amichevoli. Certo tutte queste conoscenze hanno arricchito la nostra preghiera (ero con Milena, Piera e Luciana) perché ogni nuova persona, ogni nuovo incontro, ogni nuovo frammento di vita, ogni problema di cui venivamo a conoscenza lo riportavamo davanti a Dio e dentro l’Eucarestia. Al bagno “turco” seguiva un bagno “di grazia e di Spirito Santo”. Ne eravamo felici e lo siamo tuttora. 

Foto-diapositiva scattata da Don Andrea

Altre cose ho visto e vissuto. A volte belle a volte dolorose. Alcune ve le voglio raccontare, perché vi sentiate incoraggiati e arricchiti o perché vi sentiate spinti a dare il vostro sostegno e a far passare un canale di grazia e di amore fraterno. Tra le cose belle una coppia di sposi da poco più di un anno diventati cristiani. Sono contenti, pur essendo gli unici cristiani (a parte qualche straniero) della città. Hanno affrontato con semplicità fiducia e coraggio le difficoltà giudiziarie del loro prete. È stata un’occasione di testimonianza pubblica, limpida chiara mite ed essenziale. Sono stati contentissimi di aver passato due settimane con Milena Piera e Luciana: gli sorrideva l’anima per la gioia di poster stare con tre cristiani! Quando si son lasciati dicevano: mandateci qualche cristiano, mandate qualche famiglia: abbiamo bisogno di vedere dei cristiani per non sentirci soli. Mi veniva in mente il salmo che dice: «come è bello come da gioia che i fratelli stiano insieme», e Gesù che diceva: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro». La chiesa non è un’invenzione umana. È quando due o tre sono riuniti insieme nel nome di Gesù. È la forza che Gesù ci ha lasciato, la concretizzazione in terra della comunione trinitaria. E pensavo a quanto spesso il nostro cristianesimo è “intimo e privato”, ognuno solo nel suo castello, figli più di un Dio solitario e lontano che di un Dio Amore e Parola che si è fatto Vicinanza.

In un’altra città ho visto una giovane ragazza, che si è consacrata alla presenza nel mondo musulmano, dedicarsi alla catechesi, all’insegnamento della preghiera, all’accoglienza in chiesa dei visitatori musulmani. Ai musulmani (giovani soprattutto) mette a disposizione, la domenica pomeriggio, una liturgia della Parola, per mostrare dal vivo, a coloro che lo chiedono, come pregano e a cosa credono i cristiani. Ho presieduto due volte a questa liturgia. Mi ha colpito la serietà e la profonda attenzione dei partecipanti, la possibilità di testimoniare ad essi tutto intero il Cristo (con la sua divinità, l’umiliazione gloriosa della sua croce, la potenza del suo perdono senza limiti, la magnificenza della sua risurrezione), la serenità, la bellezza e l’ispirazione dei canti eseguiti da Colomba. Una volta ho partecipato alla catechesi in casa di una famiglia che sarebbe stata battezzata a Pentecoste. Assorbivano tutto a pieni polmoni. Alla fine con mia sorpresa la famiglia si è spostata in una stanzetta adibita a cappellina domestica : hanno pregato in ginocchio, hanno lodato e implorato Dio, a testa bassa hanno ricevuto l’imposizione delle mani e la benedizione. Ero commosso. Ho pensato a quelle volte che anche da noi ho visto famiglie pregare e riunirsi con fede. Una delle gioie più grandi che il Signore mi ha concesso nella mia vita di prete. Ho pensato anche alle tante case e famiglie dove c’è tutto, ma si stenta a vedere Dio o un segno che parli di lui. Ci sono case dove si respira la presenza di Dio e case dove regna pesante il silenzio di Dio.

Sempre in questa città ho visto lo spettacolo squallido e amaro di una zona piena di prostitute e di hotel posticci trasformati in case di appuntamento. Ci si prostituisce per un piatto di minestra. Le donne vendono la propria dignità, gli uomini comprano la propria vergogna. È un fiume di prostituzione che viene dai paesi dell’ex unione sovietica, sull’altra sponda del mar Nero, dove la povertà è estrema e lo sbandamento immenso. Ho desiderato avere vicino fratelli e sorelle che si mettessero per strada a cercare i figli di Dio, che aprissero casa e chiesa all’accoglienza e all’annuncio dell’amore di Dio, per curare piaghe e rimarginare ferite. Ma dove sono? «La messe è molta ma gli operai sono pochi». Occorrono famiglie, persone singole, anime consacrate, preti, gente d’ogni carisma donato da Dio per rispondere ai mille bisogni materiali, morali e spirituali. Mai ho pregato tanto, come in quei giorni, che Dio si intenerisse e mandasse operai alla sua messe. Tutto il mondo è un’immensa messe. Tutta l’umanità soffre e geme o per mancanza di Dio o per stordimento interiore o per soffocamento in un oscuro male di vivere o per smarrimento e scontento o per miserie lancinanti e dolori acutissimi che toccano individui, famiglie e popoli nei bisogni più essenziali. Che ognuno si faccia operaio dove è. Che ognuno si chini sul cuore o sul corpo del proprio fratello, di quanti Dio gli affida. Che ognuno sia pronto a correre dove Dio lo manda.

Un’altra cosa bella: una madre con tre figli è disposta a farsi 190 km per sentir parlare di Gesù e della sua salvezza. La fame di Dio è straziante come quella del pane. Entrambe il Signore ce le ha affidate.

Un’altra piccolissima cosa: il primo ospite della nuova casa è stato un bambino mongoloide che ha bussato e ha detto: «ho sete». Così come a Trabzon qualche settimana prima, in chiesa è entrato un giovane in preda a un attacco di follia urlando e piangendo, con gli occhi che facevano paura, come inseguito dal demonio e dal dolore che lo piegava in due.

Che altro dire? Nient’altro. Mi vengono in mente due letture di questi giorni dove Gesù dice: «chi di voi se ha cento pecore e ne perde una…», e nell’altra: «chi di voi se un asino o un bue gli cade nel pozzo…». Gesù prende ad esempio il meglio dei sentimenti umani verso creature care che ci appartengono, come un animale di nostra proprietà, per dirci che tanto più Dio ama i suoi figli che gli appartengono, specialmente se perduti o caduti o negli abissi del dolore, del peccato, della tristezza, della morte corporale o spirituale. Lo fa per stimolarci a un amore pari: perché molto di più di una pecora o di un bue o di un asino vale un uomo. Donaci Signore questo amore. Donaci di capire quanto siamo amati. Donaci di sentire “nostro” ogni essere umano, scoprendo quanto tu lo senti “tuo”. Donaci di sentire nostra ogni creatura, cominciando da quella più vicina, fino alla più lontana. Donaci di sentirci tra le braccia spalancate di Gesù per spalancare con lui le nostra braccia.

Donaci Signore un cuore pieno di tenerezza, di misericordia, di grazia, di amore. Donaci un cuore guarito perché anche il nostro è dolorante e ferito. Donaci di dire di si quando ci chiami. Grazie.

Vi saluto e vi auguro ogni bene. Siate dove il Signore vi ha messo. Siateci nella concretezza quotidiana e nella disponibilità di ogni momento. Siateci con l’anima viva e non solo passivamente col corpo. Vi chiedo un’intensa e continua preghiera. Vi assicuro la mia.

                                                                                                            don Andrea

 

[SANTORO Andrea, Lettere dalla Turchia, Città Nuova, Roma 2006, 50]