DA TRABZON PADRE MASSIMILIANO:
«Anche il passero trova la casa e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore» (Sal 84,4).
Carissimi miei condiscepoli del Signore,
il pellegrino che varcava la soglia del Tempio di Gerusalemme, dopo un lungo viaggio, trasaliva di gioia e cantava il Salmo 84, celebrando la casa di Dio come il luogo dell’accoglienza, una casa dalle porte aperte, in cui persino gli uccelli del cielo trovavano riparo. Secondo la legge di Mosè, la presenza di questi uccelli era vietata perché il loro guano era cosa impura, e c’è da immaginare che per i leviti, addetti a custodire la santità del Tempio, fosse un compito ingrato quello di pulire di continuo i sacri portici. Ospiti indesiderati secondo le norme rituali, questi uccelletti si ostinavano a nidificare sulle colonne del Tempio e alla loro vista il salmista si rallegra perché la casa di Dio è aperta anche a questi ospiti che allietano con i loro canti gli altari del Signore. La loro presenza è così un sacrilegio per il guano che profana e un inno di lode per l’accoglienza della casa di Dio.
Questo è il mistero della Chiesa: casa di Dio aperta a tutti, anche a chi la insudicia. Luogo di santità in cui Dio ama dimorare e porto di mare in cui approdano buoni e cattivi, o persone che sono nello stesso tempo buone e cattive. Fin dall’inizio il Signore ha creato la Chiesa non come un gruppo elitario, non una setta di prescelti, ma una comunità di peccatori in cammino per la salvezza. Una comunità aperta e inclusiva in cui anche per il Giuda di turno ci sia una possibilità di salvezza.
C’è un brano della passione di Cristo che mi commuove e mi provoca ogni volta che lo ascolto. Nell’ora dell’arresto, mentre Giuda aveva appena condotto le guardie nel Getsemani per consegnare loro Gesù, il traditore “si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!»” (Mt 26, 49b-50). Al bacio di un amore falso, Gesù risponde con un amore invincibile, continuando a chiamare il suo traditore “amico”: fino all’ultimo continua a considerarlo suo amico, anche contro l’evidenza. Amore ostinato e imprudente di chi non riesce a riconoscere i propri nemici!
Questo Vangelo mi è di rimedio quando vedo la mia fiducia tradita e quando, deluso dalle persone e dalle situazioni, cado nella facile tentazione di chiudere il cuore o di innalzare le paratie della diffidenza e del sospetto. Il “Misterium Judae”, il perché della permanenza di Giuda nel gruppo degli amici intimi di Gesù, è una provocazione e un programma di vita per la Chiesa e per tutti i discepoli. Perché il Signore ha continuato a fidarsi di Giuda, pur sapendo ciò che stava per accadere? Perché lo ha amato come gli altri e fino all’ultimo gli ha dato fiducia? Perché lo ha chiamato “amico” proprio mentre egli lo stava tradendo?
Io sono certo che Gesù fino all’ultimo ha cercato con il suo amore di salvare Giuda, perché nulla è predestinato, perché solo l’amore può sovvertire ogni attesa, ogni destino, ogni miseria umana. La strategia sovversiva e perdente di Gesù, diventa la strategia della Chiesa, che, pur delusa, continua a fidarsi, pur tradita non si chiude nella diffidenza.
Quello che vi scrivo non è davvero facile per me in questo momento e in questo luogo. Come è difficile mantenere le porte aperte mentre intorno a noi c’è tanta ostilità. Qui da noi, per forza di cose la chiesa è circondata da alte mura, sorvegliata dalla polizia notte e giorno per motivi di sicurezza. Le porte di ferro si tengono aperte solo poche ore al giorno e con grande apprensione ed è difficile dire a chi entra “benvenuto”, perché non sai mai perché è venuto. Qui, come altrove, è necessaria una “ascesi dell’accoglienza”, un esercizio coraggioso e costante per mantenere il cuore aperto all’altro e la mente libera dai pregiudizi.
È molto più facile elevare muri e blindare le porte piuttosto che mantenerle aperte. Dopo infinite delusioni viene naturale chiudersi in difesa per non dover più soffrire il tradimento. Quanto coraggio e quanta pazienza richiede rimanere aperti all’altro dopo che la nostra fiducia è stata delusa, dopo che il nostro amore è stato tradito. “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, dice un ben noto adagio della saggezza popolare. Ma chi è più coraggioso: chi si fida o chi si chiude in difesa?
Il nostro Occidente si sta chiudendo a riccio blindando le frontiere, destinate ad essere sbaragliate dall’assedio di un’umanità disperata. La paura e la rabbia ci rendono ostili e diffidenti gli uni verso gli altri. Purtroppo anche all’interno della Chiesa – ferita da tanti scandali e tradimenti – il pregiudizio e la diffidenza diventano modi di essere, avvelenando le relazioni fraterne. Se smettiamo di credere in Dio, smettiamo di credere anche nell’uomo.
Questa “ascesi dell’accoglienza” che vi propongo come esercizio quaresimale richiede un supplemento di fede e deve avere come condizione e come meta la Croce. A tal proposito vi propongo la luminosa testimonianza di don Andrea Santoro, mio predecessore qui a Trabzon e “martire della porta aperta”. Egli, pur in mezzo a tanta ostilità, si dispose a vivere il quotidiano martirio dell’amore, quello che egli chiama il “martirio senza sangue, il più cruento per il cuore. Una fede mai imposta, ma solo proposta, fino a un’attesa senza termine”. Nel contatto quotidiano con la gente, trincerata dietro il muro del pregiudizio religioso, egli si impegnava a mostrare il volto del Buon Pastore, celebrando quella che egli definiva “la liturgia della porta: aprire, sorridere, salutare, rispondere”. Qui don Andrea, tutt’altro che mite per temperamento, venne trasfigurato al punto da desiderare di essere assimilato a Colui che si fece Agnello mite ed umile di cuore. Accogliendo l’insegnamento di S. Giovanni Crisostomo, scrisse: “Cristo pasce agnelli non lupi. Se ci faremo agnelli vinceremo. Se diventeremo lupi perderemo”. Ai piedi del Tabernacolo di questa chiesa in Trabzon, inginocchiato dinanzi all’Agnello immolato, egli venne ucciso proprio da quella porta aperta, mentre stava meditando le Scritture: le due pallottole, dopo averlo trafitto al petto, si conficcarono nella Bibbia che aveva tra le mani: la Parola di Dio fu trafitta, ancora una volta, insieme con don Andrea ormai divenuto tutt’uno con l’Agnello immolato.
Lottando con il suo temperamento appassionato, nella sua quotidiana “ascesi dell’accoglienza” don Andrea giunse ad accogliere nel nome del Signore persone diverse e talvolta ostili, a tendere a tutti indistintamente una mano amica, a fidarsi dell’altro senza condizioni e ad amare come suoi fratelli anche coloro che rimanevano chiusi al messaggio evangelico. Resosi conto che qui non era possibile predicare brandendo il crocifisso, egli apprese che la più efficace predicazione è quella che si attua nell’amore: “Ho imparato a voler bene, come segno fondamentale della presenza di Cristo, a voler bene gratuitamente senza nulla aspettarmi, a voler bene ad ogni persona così come è, come è vista ed amata da Dio”.
Per il mondo sarebbe stato più saggio mantenere chiusa quella porta. Ma il Vangelo ha bisogno di porte aperte e di cuori impavidi per poter raggiungere ogni uomo e per poter umanizzare il mondo.
Carissimi, in questo nostro itinerario quaresimale, seguendo Gesù nel deserto di quaranta giorni, vivendo con serietà la preghiera, il digiuno e le opere di carità, vi auguro di rieducare il vostro cuore a mantenersi aperto, nonostante tutto il male che abbiamo commesso, nonostante tutto il male che abbiamo subito.
Buon cammino,
p. Max