Riflessione del card. Stella (1.1): Tre aspetti della preghiera di don Andrea
«Ma cosa c’è nella preghiera di don Andrea?
Vorrei evidenziare brevemente tre aspetti, che, almeno in parte, corrispondono a periodi significativi della vita e della missione di don Andrea, fino alla sua partenza in Turchia, nell’anno 2000, e alla sua morte.
Il primo aspetto è quello della ricerca e della purificazione interiore. Tra il 1972 e il 1980, don Andrea è viceparroco nella Parrocchia della Trasfigurazione di Nostro Signore, qui, a Roma. Nel 1977 inizia per lui un periodo di riflessione, che egli stesso definisce “Anno sabbatico”. Il giovane sacerdote, sorretto da un’autentica vita spirituale, diventa più capace di entrare in se stesso, di leggersi in profondità e di confrontarsi con la missione sacerdotale.
Non è un periodo facile per lui, e per questo motivo, la preghiera è innalzata a Dio sotto forma di invocazione accorata: è una ricerca per comprendere meglio la propria identità alla luce della relazione con Dio e, al contempo, una richiesta di aiuto per la purificazione del proprio io, dei propri ideali e della propria visione del ministero sacerdotale.
Le parole di questa preghiera esprimono il desiderio di don Andrea di crescere, di appartenere con maggiore totalità al Signore, di “capire” cosa davvero il Signore vuole da Lui e come egli debba viverlo. Se il Signore è un Buon Pastore che conosce le sue pecore per nome, allora don Andrea chiede: “Qual è il mio nome Signore? Chi sono io, quale il mio posto, la mia storia, i miei talenti, la mia vocazione? Cosa mi affidi come missione, dove mi chiami a servire?…Non so accettare la mia unica identità e sono estraneo a me stesso. Ma so di averlo un nome e che tu almeno lo conosci…” (“Il mio nome Signore”, 13 ottobre 1977).
Potremmo parlare di una salutare crisi di identità, che conduce questo ministro del Signore a fermarsi, interrogarsi, scoprire il significato della propria vita offerta a Dio; è un momento di passaggio, molto delicato, sostenuto però da una fede ferma, con la quale don Andrea chiede di essere purificato da se stesso, dal proprio ideale di perfezione che non gli permette di accettare i limiti e i fallimenti, e da ogni attaccamento: “Che sappia riconoscere ciò in cui non sono capace, ciò in cui lo sono. Che sappia accettare gli smacchi, i fallimenti, le incapacità del carattere, del mio patrimonio psichico, le mie incapacità morali, umane, spirituali” (“Il mio nome Signore”, 13 ottobre 1977).
Dinanzi alla fretta di voler capire tutto e subito, egli chiede il dono di “Attendere da Dio i segni del mio domani, attendere da Lui le indicazioni del cammino…Accontentarmi ed essere contento dell’oggi…Accettare il dubbio di non capire, di non vedere, di non avere, di non ottenere” (“Invocazioni e propositi”, 20 ottobre 1977). Si tratta di una vera e propria preghiera di spoliazione, che nasce dal desiderio di essere più completamente offerto al Signore, al punto da invocare: “Signore: donami l’umiltà, il distacco, il disinteresse di saper godere delle gioie altrui, di esultare per ogni affetto altrui, per ogni talento altrui…Liberami da me stesso” (“Donami…Liberami”, 16 ottobre 1978).
Questa preghiera per la purificazione interiore, però, non ha toni lamentosi o pessimisti, né don Andrea indulge in autocommiserazioni; al contrario, la sua supplica è sincero desiderio di configurarsi al Buon pastore e di rinascere in Lui: “Signore, mettimi dentro tutte queste cose: che io ti scopra Pastore, che io abbia il tuo animo di pastore. Pecora di un tale pastore, mandato alle altre pecore, a immagine di questo pastore…Bisogna rinascere un’altra volta, certo. Si riceve un nome quando si nasce, anzi si nasce perché qualcun ha pensato a noi, ci ha chiamati alla esistenza. E si rinasce quando si riceve un altro nome, quando si viene chiamati un’altra volta” (“Rinascere”, 18 ottobre 1978)».
Basilica di Santa Croce in Gerusalemme – Domenica 29 Novembre 2015, ore 17:30
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