Dio… e le tragedie umane (1)
Di fronte alla tragedia dello Tzunami del 26 dicembre 2004, nel gennaio del 2005 don Andrea pubblica, per le Acli, la sua riflessione.
“Dov’era Dio?” molti si sono chiesti davanti alla tragedia del sud-est asiatico. E’ una domanda seria. Una domanda che ci facciamo quotidianamente davanti a sofferenze di ogni tipo. Una domanda spesso sommessa, segreta, non gridata ma sofferta silenziosamente nell’intimo. Due risposte mi vengono in mente. La prima: “non credo in Dio perché tutto va bene, ma siccome credo in Dio credo che in tutto c’è un bene nascosto che prima o poi verrà a galla”. “Non credo in Dio perché lo vedo ma siccome credo in Dio lo vedo sempre misteriosamente all’opera. Solo attendo di capirlo”. La seconda risposta: chiedere a Dio, davanti al dolore, dove si trova non è una bestemmia ma una preghiera, una legittima richiesta di un uomo piccolo davanti a un Dio troppo grande. La preghiera non è un’invocazione astratta ma la presenza concreta di tutto il nostro essere davanti a Dio, l’offerta di me a lui così come sono. Il mio urlo, il mio pianto, la mia imprecazione, il mio dubbio, il mio vuoto interiore, il mio peccato che mi umilia, l’ingiustizia che mi calpesta sono la mia preghiera. Li pongo davanti a Lui come li vivo, li innalzo fino al suo trono, li deposito come mi escono dal cuore dentro il Suo cuore. Lui raccoglie tutto il mio gemere, il mio dubitare, il mio scalciare, il mio accusare e se lo stringe forte a sé. Il mio e il suo cuore si mescolano, il mio e il suo mistero si compenetrano e una luce si prepara, un germoglio nuovo si fa strada dal chicco spappolato sotto terra. A Dio si può dire tutto, perché la preghiera è il mio vissuto e la fede è gettarmi addosso a Lui con tutto il mio peso. Ecco alcune delle espressioni più drammatiche, più profonde e più umane della Bibbia: “Fino a quando Signore continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?” “Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo… io sono verme non uomo” “Perché Signore mi respingi, perché mi nascondi il tuo volto…i tuoi spaventi m hanno annientato, mi circondano come acqua tutto il giorno” “Signore perché il mio dolore è senza fine? sei diventato per me come un torrente infido dalle acque incostanti” “Il mio occhio piange senza sosta, sono salite le acque fin sopra il mio capo e dissi: è finita per me! Ho invocato il tuo nome Signore dalla fossa profonda” “Sappiate che Dio mi ha piegato, mi ha avviluppato nella sua rete. Ecco grido ma non ho risposta, chiedo aiuto ma non c’è giustizia”. DiciamoGli dunque: dove sei? PuntiamoGli pure il dito addosso in un impeto di collera e di dolore, ma poi stringiamoci addosso a Lui e facciamoci portare, come un bambino piccolo in braccio a sua madre, anche in sala operatoria, fin sul lettino del chirurgo: questo fa la differenza.
C’è una terza risposta, la più difficile e la più complessa, quella che maggiormente piega la nostra sicurezza, spiazza le nostre logiche più razionali, spezza il nostro orgoglio, la nostra illusione di dominare il mondo, la nostra pretesa di uomini giusti. La risposta è: dietro ad ogni tragedia c’è una tragedia più profonda che coinvolge l’universo intero. Una tragedia le cui radici sono nascoste e antiche ma i cui frutti amari sono di ogni tempo e ben visibili. Questa tragedia si chiama peccato e la si può paragonare, per capirla, a un’infezione nascosta che dà come sintomi convulsioni e attacchi di febbre altissima che stremano l’organismo e lo portano ogni volta sull’orlo del collasso e della morte. Il mondo, dice la Bibbia, è in preda al dolore e alla morte perché è in preda al peccato, non il mio o il tuo ma quello “nostro”, quello che passa di padre in figlio a partire dal primo “no” orgoglioso che si è annidato in noi come una malattia ereditaria: “grazie no, Dio! Non ho bisogno di te, so tutto, posso tutto, sono in grado di decidere io tutto, mi bastano le mie forze e la mia intelligenza. Se tu ci sei, fai ombra alla mia libertà, perciò se devo esistere io, devi sparire tu”. (articolo per le Acli gennaio 2005 – prima parte)
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