Biografia lunga
Don Andrea Santoro nasce a Priverno, in provincia di Latina nel 1945, da papà Gaetano, muratore, e da mamma Maria, casalinga…. E’ l’ultimo di cinque fratelli (i primi due, gemelli, muoiono dopo solo un anno di vita). Nella città natale rimane fino al 1955, quando con la famiglia, il 16 gennaio 1956, si trasferisce a Roma, nel quartiere popolare del Quadraro. Resterà però con la famiglia per soli altri due anni, visto che nel 1957 entra in seminario. Gli anni della formazione coincidono con la grande stagione conciliare, ed anche l’istituzione del seminario vive un momento di discussione interna. In questi anni il giovane Andrea si esprime come uno che ricerca un sempre maggior dialogo con l’esterno (studia la chitarra e l’inglese), ma al tempo stesso persegue una marcata radicalità evangelica, è molto esigente con se stesso.
Il 18 ottobre 1970 riceve dalle mani di Mons. Ugo Poletti l’ordinazione presbiterale. I primi mesi di sacerdote li vive nella parrocchia dei Santi Marcellino e Pietro ad Duas Lauros, al Casilino. Si trattava di uno dei quartieri periferici e poveri della capitale: ben 5000 persone vivevano in baracche, con situazioni drammatiche per quanto concerne l’igiene e il degrado sociale.
Dal 1972 al 1980 è viceparroco nella parrocchia della Trasfigurazione, nel quartiere Monteverde. La Trasfigurazione si caratterizzò per essere un vero laboratorio di sperimentazione ecclesiale, in anni in cui tutta la chiesa romana si interrogava sulle proprie condizioni. L’esperimento più significativo è quello della formazione, del popolo di Dio, in piccole comunità che si riuniscono settimanalmente, guidate da un laico coordinatore, principalmente per la lettura della Bibbia. Presto, per evitare il rischio di una chiusura, le comunità vengono investite di alcuni servizi: dall’animazione liturgica durante la celebrazione eucaristica ad alcuni impegni in campo socio–assistenziale (doposcuola, aiuto agli anziani e ai disabili). Inoltre viene riformata la catechesi in vista dei sacramenti coinvolgendo maggiormente anche i genitori.
In tutto questo don Andrea infonde la sua profonda spiritualità e la sua passione per la Bibbia, che lo accompagnerà per tutta la vita. Ma il giovane sacerdote si spende anche in campo sociale, presenziando alle riunioni dei comitati di quartiere e attivandosi in iniziative più estemporanee, come l’ospitalità offerta a un gruppo di madri di Desaparecidos argentini nel 1979, che lottavano per avere notizie dei loro cari fatti sparire dal regime militare al potere dal 1976. Per don Andrea, la comunità di credenti, la parrocchia, deve vivere la particolare declinazione della fede che è, allo stesso tempo, “memoria” e attenzione alla realtà, vicina o lontana.
Questi impegni, però, non soddisfano pienamente don Andrea, che alla fine degli anni Settanta appare inquieto e desideroso di un momento di riflessione. Così, di fronte alla proposta del cardinale vicario dell’assunzione di un incarico come parroco, esprime la richiesta di poter passare un periodo in Terra Santa. Emerge una sete di essenzialità e di riscoperta delle origini della fede.
Nel settembre del 1980 raggiunge il Medio Oriente ove si fermerà, come lui stesso dice, “per un periodo di sei mesi, per un desiderio impellente che sentivo di silenzio, di preghiera, di contatto con la Parola di Dio nei luoghi dove Gesù era passato. Lì ho ritrovato la freschezza della fede e la chiarezza del mio sacerdozio” (Roma, maggio 2000, saluto ai parrocchiani, in Lettere dalla Turchia). <<Cercavo un luogo in cui “abitare con Dio” e avere il tempo per ascoltarlo, per parlargli, per capirlo, per farmi prendere in custodia da lui. L’ho trovato e questo mi ha lasciato un segno indelebile che ritrovo intatto ogni volta che mi guardo dentro>> (da un articolo per l’ORP 8 settembre 2001).
Don Andrea ripercorre i luoghi della vita di Gesù, da Gerusalemme risalendo verso Nazareth, uno dei luoghi che amò di più, in cui, rileggendo l’esperienza dei primi trent’anni di Cristo, matura l’idea che sia possibile per tanti intridere di santità anche la quotidianità, sottomettendosi di continuo alla volontà di Dio.
A fine febbraio 1981 torna a Roma e nel giugno del 1981 don Andrea inizia il suo ministero di parroco a Verderocca, un nuovo quartiere romano privo di tutto, anche di una chiesa: vive in un appartamento, incontra la gente per strada… La chiesa, prima di un edificio, è una comunità, ripeteva spesso. Intitolò una lettera pastorale: “Essere chiesa è più importante che avere una chiesa”. Ed è con la comunità di persone che inizia il cammino parrocchiale, utilizzando locali condominiali, la scuola del quartiere (che oggi è intitolata a lui) e appartamenti messi a disposizione per le celebrazioni, le catechesi, le attività pastorali. Tutto ciò per sette anni (fino al 1988) periodo in cui si costruisce la Chiesa intitolata a Gesù di Nazareth, nel cui progetto fa inserire anche un piccolo “eremo” a disposizione di chi, nella comunità parrocchiale, avvertisse il desiderio o bisogno di spazi di silenzio e meditazione. E, sempre nel complesso parrocchiale, fa costruire due locali per persone in difficoltà, e un “angolo” per la raccolta di generi alimentari e di conforto per i più poveri.
L’azione di don Andrea nella comunità di Verderocca prosegue fino al 1993, anni importanti, segnati da eventi come la visita del S. Padre Giovanni Paolo II, e da tante iniziative sociali e comunitarie. Dopo il distacco da quest’opera, sceglie di trascorrere altri cinque mesi in Medio Oriente (Turchia – terra santa degli Apostoli, come la chiama – Siria, Libano).
A settembre del 1994 viene trasferito nella parrocchia dei santi Fabiano e Venanzio, non distante da S. Giovanni in Laterano. Una parrocchia importante, marcatamente segnata dal cammino neocatecumenale. Pur apprezzando tale risorsa, il nuovo parroco preme affinché la comunità si apra a varie esperienze, mostrandosi come luogo aperto e accogliente per tutte le sensibilità. Riprende, insomma, quello stile missionario che lo caratterizza da sempre. Così, apre spazi della parrocchia al movimento fondato da una giovane, Chiara Amirante: l’organizzazione si chiama “Nuovi orizzonti”, e rivolge la sua attenzione alle povertà urbane e all’evangelizzazione di strada. Non è forse casuale che dia a disposizione i locali sottostanti la chiesa, come a sottolineare il legame tra Eucaristia e fratellanza, solidarietà. E, come a Verderocca aveva fatto costruire un eremo, crea la cappella di San Venanzio, come spazio dedicato esclusivamente alla preghiera. Intensifica, nell’azione pastorale, l’attenzione ai temi dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso che pure l’avevano accompagnato negli anni precedenti, sin dal tempo del seminario
Questa manifestazione è indice della sua crescente sete di partenza per la missione in Medio Oriente, inizialmente poco compresa dai suoi superiori. Il permesso agognato da don Andrea giunge nel 2000, quando il Card. Ruini, convinto che la sua era una “chiamata”, una “vocazione dentro la vocazione” (da una intervista riportata nel dvd “don Andrea Santoro Dono della fede”) gli consente di partire per l’Anatolia, per un triennio, quale sacerdote fidei donum. Don Andrea ha 55 anni.
La prima destinazione di Don Andrea è Urfa, l’antica Edessa a 35 Km da Carran (Harran) la città da cui, secondo la tradizione, partì Abramo. Edessa è stato un vero crocevia di culture e religioni, dall’ebraismo, all’islam, al cristianesimo. In questa prima esperienza don Andrea si muove attraverso tre direttrici: la vita quotidiana tra la gente; la carità, con un’attenzione particolare alle famiglie povere; il contatto con le comunità cristiane di tutto l’est Turchia. Nel 2001, dopo sei mesi di permanenza, la sua presenza si fa più visibile, con l’apertura della Ibrahimin evi, ovvero della “Casa di Abramo”: la sua abitazione, ma anche un luogo (di dialogo,) di incontro, di studio, preghiera, accoglienza verso i poveri e i piccoli gruppi di pellegrini che volevano condividere con lui questa esperienza
In questo periodo, alterna la vita ad Urfa con lunghi periodi ad Istanbul, per dedicarsi, con grande fatica e uguale costanza, allo studia della lingua turca
Nel 2003, allo scadere del primo triennio di impegno, il mandato viene confermato con una piccola modifica: pur mantenendo contatti e presenza in Urfa, gran parte della missione di Don Andrea dovrà svolgersi a Trabzon, antica Trebisonda, città portuale sulla riva del mar Nero dove c’è una chiesa senza sacerdote da diversi anni. Ugualmente interlocutori sono i rapporti con la gente. Don Andrea si trova ad accogliere e guidare il cammino di un piccolo gruppo di giovani che si avvicinano al cristianesimo. Nonostante sia riuscito a creare dei rapporti di buon vicinato spesso fanno riscontro episodi di intolleranza.
La sua è una presenza silenziosa, quasi invisibile, come nascosta sarà la via Crucis del 2003, che sceglierà di celebrare proprio nel quartiere più povero. Giungiamo così all’epilogo di questa storia: il 5 febbraio 2006, mentre stava pregando nella sua chiesa, Don Andrea è stato ucciso con due colpi di pistola da uno sconosciuto.
Quello che resta è la testimonianza di questo sacerdote romano, animato da una “santa inquietudine”, ma soprattutto desideroso di camminare nella fede, insieme a quelli che, via via, sono stati i suoi compagni. E, forse, non è un caso che sul suo comodino fu ritrovato un testo di Robert Royal: “I martiri del ventesimo secolo”.
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